Anche quest’anno AIGA Roma presente all’Inaugurazione dell’anno giudiziario 2025 presso la Corte di Appello di Roma. Con dispiacere abbiamo respirato un clima molto teso, già iniziato il 15 gennaio con la decisione del Consiglio Superiore della Magistratura di modificare l’ordine degli interventi spostando l’OCF dopo le associazioni di Magistrati Onorari.
Tensione che ha raggiunto l’apice con l’abbandono dell’aula di tutti i magistrati al momento dell’intervento del sottosegretario Mantovano. Condividiamo la sua risposta: la sedia vuota non è tanto mancanza di rispetto istituzionale ma una occasione che si perde, simbolo della rinuncia alla dialettica, in grado di compromettere i rapporti interpersonali. Ritenere addirittura la propria presenza fisica incompatibile con quella del rappresentante del Governo, più che un problema di riguardo istituzionale pone un problema di prospettiva. Abbandonare il tavolo del dialogo non è una manifestazione di forza, se mai di debolezza.
Ci hanno colpito altresì le parole della rappresentante del CSM quando ha detto che la separazione delle carriere culturalmente non la spaventa perché giudici e pubblici ministeri saranno sempre strettamente legati, in quanto entrambi rappresentano lo Stato mentre il difensore la parte privata, in una “asimmetria” che mai potrà cambiare. Allungare le distanze, quasi relegando l’avvocatura ad un ruolo di seconda classe, invece di accorciarle per il bene dell’amministrazione della giustizia, che oggi affronta sfide e trasformazioni epocali.
Prendiamo spunto dalle parole del Presidente Reali quando, in occasione della Cerimonia solenne dell’Ordine di Roma, ha augurato che le nuove generazioni possano lavorare in condizioni migliori di quelle in cui lavoriamo oggi, riferendosi anche all’edilizia giudiziaria. Impalcature ovunque, e non solo fuori dagli edifici ma, simbolicamente, anche nelle aule. Un senso di costante provvisorietà che ci accompagna negli ultimi anni.
Un tempo il codice era la stella polare, il luogo dove trovavamo risposta ad ogni quesito, oggi siamo al cospetto di una ipertrofia legislativa che ci costringe a rincorrere la moltiplicazione delle fonti, primarie, secondarie, correttivi ministeriali, note tecniche, protocolli locali, difformi sul territorio nazionale e spesso anche all’interno del distretto. Difficile mantenere il senso dell’orientamento.
Le conseguenze di questi cambiamenti hanno finito per gravare, ancora una volta, in maniera sproporzionata sull’Avvocatura (e quindi sui cittadini), perché per noi avvocati, che mai possiamo contare sulla impersonalità dell’ufficio, anche una minima disattenzione può costituire un errore imperdonabile ai danni dell’assistito.
In questo contesto, lo spirito riformatore non potrà trovare piena realizzazione se anche la magistratura non si renderà disponibile a rivedere le proprie posizioni. Invece, l’impressione è che sia ancor più arroccata, mentre l’Avvocatura un “ospite”, non sempre gradito, dei Palazzi di Giustizia.
Ci eravamo forse illusi nel sentire ieri le più pacate ed equilibrate parole della Primo Presidente Cassano, la quale ha definito “l’avvocatura, co-protagonista ineliminabile” e concluso richiamando “Le città invisibili” di Calvino quando l’imperatore dei tartari Kublai Kan chiede a Marco Polo quali siano le pietre che sorreggono l’arco del ponte. “Marco Polo risponde che non è sostenuto da determinate pietre, ma dall’intera linea dell’arco che essere formano. Il mio auspicio per il nuovo anno giudiziario è che tutti noi possiamo recuperare la consapevolezza di essere parti dell’unico arco su cui poggia il ponte dello Stato di diritto”.